Studio: la storia del miglioramento genetico del grano duro italiano in 2 secoli


Uno studio ripercorre la storia del miglioramento genetico del grano duro italiano degli ultimi due secoli

Lo studio pubblicato sulla rivista "Frontiers in Genetics doi: 10.3389/fgene.2020.00217" dal CREA in collaborazione con le Università di Napoli Federico II, Sassari, Bari e l'Università Politecnica delle Marche descrive gli effetti prodotti dalla storia demografica e dalla selezione artificiale sulla diversità genetica del grano duro.

L'analisi dei profili genetici delle varietà coltivate negli ultimi due secoli in Italia è stata condotta mediante SNP (single nucleotide polymorphism) genotipizzazione con l'obiettivo di comprendere gli effetti generati dal miglioramento genetico sulle modificazioni delle sequenze del DNA. I risultati ottenuti sono fondamentali per adottare strategie d'intervento in grado di contrastare l'eventuale perdita di diversità e/o salvaguardare materiali genetici a rischio di estinzione. Queste azioni contribuiranno a dare nuovo impulso all'attività sementiera nazionale alla luce delle nuove sfide agro-climatiche.

La collezione oggetto dello studio, composta da oltre 250 accessioni, è stata suddivisa in 3 gruppi: 1) popolazioni e varietà locali coltivati nel XIX secolo nel Sud-Italia; 2) varietà obsolete, frutto del lavoro di selezione condotto dall'inizio del XX secolo fino alla metà degli anni 50-60; 3) varietà moderne a taglia bassa e più produttive coltivate in Italia a partire dagli anni 70 fino ad oggi.

Lo studio ha evidenziato il ruolo chiave che la varietà Cappelli, selezionata da Nazareno Strampelli nel 1915, ha avuto nella storia del grano duro italiano segnando il passaggio dalle vecchie popolazioni locali, coltivate nell'800, alle varietà sviluppate fino alla metà del 1900. Sin dalla sua costituzione, infatti, il grano Cappelli è stato parte integrante di tutti i programmi di miglioramento genetico condotti in Italia quasi esclusivamente da soggetti pubblici (Enti di Ricerca ed Università). Questo, se da un lato ha esaltato le peculiarità quanti-qualitative della varietà selezionata da Strampelli - ampiamente apprezzata dagli agricoltori e dai trasformatori - dall'altro, ha determinato, per diversi decenni, un forte appiattimento del panorama varietale. L'analisi dei profili genetici, infatti, ha evidenziato una leggera riduzione della diversità genetica nell'intervallo temporale che intercorre tra l'introduzione di Cappelli e la metà degli anni 60, ossia fino all'affermazione delle varietà moderne a taglia bassa. Questa nuova fase è coincisa anche con l'introduzione nel panorama normativo italiano della "Legge di purezza della pasta", varata nel 1967 (L. 580/67) che, fissando i limiti qualitativi della materia prima (utilizzo esclusivo di grano duro, contenuto proteico, ceneri), garantiva l'eccellenza della pasta italiana. A partire dagli anni 70, il ricorso all'utilizzo di nuovi materiali genetici e l'introduzione di nuova variabilità genetica nello sviluppo delle varietà hanno promosso il rilancio del settore sementiero privato, che si è consolidato nel corso degli anni successivi anche grazie alle politiche europee di sostengo al reddito degli agricoltori per la coltivazione del grano duro.

Grazie all'analisi della diversità genetica tra le popolazioni oggetto dello studio è stato possibile osservare come l'effetto della storia demografica e del miglioramento genetico sia più visibile nelle regioni del DNA dove sono localizzati i geni associati alle caratteristiche morfo-fenologiche della pianta, responsabili dell'adattamento della pianta ai differenti ambienti di coltivazione e quelli che influenzano la qualità tecnologica della materia prima. L'analisi ha permesso di identificare regioni specifiche del genoma di grano duro in cui la perdita di diversità genetica è più rimarcata. Questo si riflette nell'aumento del linkage disequilibrium (associazione preferenziale di combinazione geniche) e nel significativo cambiamento delle frequenze alleliche osservati proprio in quelle regioni del DNA che controllano importanti caratteri agronomici.

Nello specifico, i dati hanno mostrato che i principali geni noti per determinare l'altezza delle piante (Rht), la precocità (Vrn, Ppd) e la qualità della semola (Gli, Glu, PSY, PSD, LYC, PPO, LOX) co-localizzano con i marcatori molecolari di tipo SNP che differenziano i tre gruppi di accessioni posti a confronto (antiche popolazioni, varietà obsolete e varietà moderne). Inoltre, è stato interessante notare come molti di questi SNP sono associati a geni coinvolti nel metabolismo dell'azoto e all'efficienza di utilizzo dell'azoto. La variabilità genetica di questi geni potrà essere utilizzata nel prossimo futuro per migliorare i caratteri legati alla qualità della granella e alle prestazioni agronomiche delle nuove varietà di grano duro.

Oggi vi è la necessità di sviluppare nuove varietà ad alta resa in grado di sfruttare al massimo le risorse naturali presenti nel suolo, limitando il ricorso agli input esterni anche alla luce dei cambiamenti climatici in atto. Per assicurare standard elevato di produzione e qualità nel rispetto dell'ambiente di coltivazione è necessario introdurre nuova variabilità nei programmi di miglioramento genetico. Lo studio ha evidenziato la possibilità di sfruttare appieno la diversità genetica delle varietà locali italiane mediante attività di pre-breeding, giacché le landraces, rispetto ai progenitori selvatici del grano duro (es. farro), hanno il vantaggio di essere già adattati alle nostre condizioni ambientali. L'elenco dei loci sotto selezione associati a caratteri agronomici utili rappresenta una risorsa inestimabile per rilevare nuove varianti alleliche da impiegare nei programmi di miglioramento genetico utilizzando le più moderne tecnologie (es. selezione genomica, editing del genoma).

Citation: Taranto F, D'Agostino N, Rodriguez M, Pavan S, Minervini AP, Pecchioni N, Papa R and De Vita P (2020) Whole Genome Scan Reveals Molecular Signatures of Divergence and Selection Related to Important Traits in Durum Wheat Germplasm. Front. Genet. 11:217. doi: 10.3389/fgene.2020.00217